La racconto spesso, è una storia che
mi è rimasta in mente e il ricordo non accenna a sbiadirsi.
Trentanove anni fa, 23 novembre
1980, ero a Livorno impegnato nel servizio militare.
Tranquilli!
Non facevo il paracadutista, ero
soltanto un semplice soldatino dell'Ospedale militare, contabile nell'ufficio
amministrazione, figuratevi che guerriero!
Il 23 novembre 1980 era domenica e
io ero impegnato come capoguardia per tutto il fine settimana, avevo tramato
per fare quel servizio: abbastanza vicino a Dicembre da garantirmi di
non rischiare la licenza natalizia.
Durante tutto il pomeriggio
domenicale, io e Carmine, il sergente di giornata, avevamo corteggiato la
fidanzata di un nostro ricoverato.
La ragazza era giovane e molto
vistosa, ricordo i suoi seni procaci, gli occhi cerulei e i lunghi capelli
biondi a boccoli, ci dava corda per allungare il tempo della visita al suo
fidanzato e noi, giovani torelli prigionieri dei nostri ardori, le lasciammo
tutto il tempo che voleva.
Verso sera, sbolliti i fumi, ci
siamo accorti che avevamo dimenticato tutte le consegne, io non avevo mandato
il soldato a controllare le comunicazioni del comando militare, poteva essere
scoppiata la guerra e noi non lo sapevamo, Carmine non aveva guidato la ronda
di ispezione - c'era, lo abbiamo scoperto dopo, il vetro di una finestra rotto
e non lo segnalò -, nessun controllo sulle entrate e le uscite; insomma,
eravamo un po' preoccupati.
Erano le venti quando incominciarono
ad arrivare le telefonate dei soldati napoletani, in licenza e in fuga, ci
avvertivano che non sarebbero rientrati e di coprirli al controllo del mattino:
un terremoto aveva spianato l'Irpinia e fatto ballare mezza Napoli.
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