domenica 30 ottobre 2022

E questa domenica in Ottobre non sarebbe pesata così... (miscellanea).

Alle cinque del mattino esco in giardino con il cane, vedo subito Orione, cerco Betelgeuse la stella morente e mi accorgo che, dopo anni, riesco a vedere a occhio nudo le Pleiadi.


Lo scopriamo solo ora che i capi ultras sono dei gangster?


A proposito, Ignazio Benito non parteciperà al 25 Aprile. Ce ne faremo una ragione anche perché chi lo vuole?

Facciamo attenzione, vigiliamo, il rischio è grande.



venerdì 28 ottobre 2022

Non c'è gusto in Italia ad essere intelligenti.

L'Italia è quel paese strano in cui la prima donna capo del governo vuole essere chiamata: "Il Signor Presidente del Consiglio dei Ministri, On. Giorgia Meloni".

Cosa vuoi aggiungere?

giovedì 27 ottobre 2022

"È un cerchio che si chiude...".

Se non sapete chi era Teresa Galli non posso farci niente e vi meritate una fascista primo ministro.


 


mercoledì 26 ottobre 2022

Farfugliamenti, 2.

Finalmente una donna presidente del consiglio.

Oddio una donna che si veste da uomo, vuole essere chiamata il presidente, non la presidente, e che quando cita donne importanti del passato le anonimizza omettendo il cognome (Rita, Tina, Nilde, Oriana) e finisce nella blasfemia mettendo insieme Iotti e Fallaci.

Va beh, siamo in Italia e siamo italiani, questo passa il convento.

A già, mi dimenticavo, non ha mai apprezzato il fascismo. Sì, a quindici anni era incidentalmente nei giovani missini ma, così, senza impegno.


Il giovine Renzi ieri era a Riad, controllava come procede il rinascimento saudita?


Il problema della Sinistra non è che ha perso l'egemonia culturale, è che non ha più una sua cultura.

Scimmiotta, raccatta qui e là quello che sembra di moda.


I poliziotti menano gli studenti alla Sapienza.

Che nostalgia!

Proprio come nel Settantasette, quando ero un giovane virgulto con i capelli biondi a boccoli lunghi sulle spalle e gli occhi azzurri. Sembravo un puttino.


Già! Ci sono due navi che aspettano di trovare un porto.

lunedì 24 ottobre 2022

Come in un vecchio film "de paura".

All'alba i termometri di casa segnano ventuno gradi, spalanco le sette finestre. Soffia ancora un po' di vento. Corrente, grande svolo di tende, tendoni e zanzariere, porte che sbattono e persiane che si chiudono da sole, sembra di essere in un vecchio film della Hammer.

Vado in cucina a prepararmi la colazione, se c'è Barbara Steele che mi spalma la marmellata sulle fette biscottate incomincio a preoccuparmi.



Tengo famiglia.

Guardo pochissima televisione e mentre la guardo, quasi sempre e per fortuna, mi faccio delle "pise" faraoniche. Quindi so poco delle sorti magnifiche e progressive di questo media.

Leggendo, però, molti post di contatti Fb fededegni mi sembra di capire che si è scatenata un'epidemia di "leccaculismo"* tremenda (il Covid je spiccia casa).

* La definizione non è mia ma, appunto, di un mio amico Fb.

domenica 23 ottobre 2022

Di Domenica mattina, troppo caffè.

La Natura non è né buona, né cattiva, può sembrarci matrigna ma è solo indifferente verso di noi e verso la nostra sorte, non credo nemmeno che le stelle ci guardino così spesso come qualcuno s'illuse.

sabato 22 ottobre 2022

Farfugliamenti dopo aver visto il nuovo governo.

Per quel che riguarda il sovranismo alimentare.

Butto lì un'ipotesi. Io aspetto a fine Novembre il Beaujolais, quest'anno dovrò bere il Novello e invece del Brie mi tocca la caciottina di Santo Stefano.

Più complicato è, per noi di Genova, la scelta tra Farinata, Cecina pisana o Torta livornese.


Domanda: una donna fascista è meno fascista di un fascista uomo?


Beh, almeno non ha nominato ministro Camillo Langone o Silvana De Mari.


A proposito di sovranismo alimentare. Posso ancora mettere il Brie nel toast o devo usare la mozzarella?


Da domani Marsala e Cantuccini, basta con il Porto e la Madeleine.


POVERA ITALIA.


È una donna! È donna!

Marginalmente è anche fascista ma che fa?

Sono limiti miei, povero gattino cieco e pure maschio, che non riesco a capire la bellezza di una donna, sia chi sia, a capo del governo.


Questo post ne sostituisce un altro dedicato al merito, scritto e subito cestinato perché non valeva la fatica di pubblicarlo.



"È un cerchio che si chiude...".

Chi non riconosce il personaggio della foto si merita, è chiaro, il governo che abbiamo.


Sei ministre su un totale di ventiquattro, un quarto del governo - il venticinque per cento -.

Una grande opportunità e un grande passo avanti per tutte le donne e la loro causa. Oddio, nel gruppo ci sono pure Santanchè e Roccella ma va bene anche così.

Maria Diletta Pagliuca e Celeste Di Porto pare fossero indisponibili.


Sempre rimanendo al discorso della sovranità alimentare, sono limitato ed è la cosa che mi ha impressionato di più, penso che per i ciucchettoni cambierà poco.

Barbera cancarone per chi frequenta i bar scalcinati e Tavernello per i senzatetto. Loro sono veri patrioti!

venerdì 21 ottobre 2022

Perfida Albione!

La perfida Albione, sempre invidiosa di noi così belli, intelligenti e dignitosi...

mercoledì 19 ottobre 2022

Appunti sulla sconfitta, 12.

Secondo me ieri sera, dopo tutto quello che ha spurgato il vecchio e bollitissimo Berlusconi, Giorgia Meloni per rilassarsi è andata in giro a bruciare cassonetti della spazzatura e a tagliare le gomme delle auto.

Sempre per calmarsi potrebbe fare la cantante in un gruppo death metal.


Materiali per ragionare.

L'Espresso 18 Ottobre 2022, Simone Alliva.

La Destra porta in Parlamento i Pro-Vita: tra cimiteri dei feti e ministeri anti-gender, chi sono i nuovi Pillon.

In Parlamento entrano per la prima volta le truppe dei Pro-Vita. Tra cimiteri dei feti e ministeri anti-gender, sono loro il nuovo volto della destra italiana. Fratelli d’Italia ha assorbito il movimento anti-scelta e lo portato dentro le stanze dei bottoni. Adesso i suoi rappresentanti promettono una rivoluzione “antropologica positiva” per “contaminare istituzioni e informazione” contro aborto, diritti lgbt, fine vita. I nuovi eletti non sono ancora entrati nel cono di luce ma sono pronti all’azione.

Nella storia della politica italiana, dopo i nostalgici del duce, l’arrivo dei Pro-vita (o meglio anti-scelta) in Parlamento segna il punto più alto. Ha il merito di perimetrare con chiarezza il confine culturale e politico della nuova destra, supera i tre modelli di destra italiana (mussoliniana, dorotea, berlusconiana) e regala un clima atwoodiano, un effetto “Racconto dell’Ancella” che dalle piazze e dai social raggiunge le stanze dei bottoni.

Simone Pillon è rimasto fuori dal risultato dimezzato della Lega. Ma dentro si trovano tutti gli altri. Ora che la palla è passata a Fratelli d’Italia con il 26 per cento, è indietro che bisogna andare per capire la logica e la grammatica che disegnerà il nuovo Parlamento. Il partito di Giorgia Meloni segue il movimento anti-gender fin dalla sua prima manifestazione (luglio del 2013, a Roma), ancora prima della Lega che tra rosari e santini si era affacciata tardi alla finestra del fondamentalismo cattolico. Così nelle chat di ProVita & Famiglia e nella sede di viale Manzoni 28, si festeggia. Da qui si reclama un ministero dell'istruzione «al fianco delle famiglie e anti-gender». E da giorni è un via vai di deputati e senatori eletti.

Come Lavinia Mennuni che entra per la prima volta a Palazzo Madama orgogliosa di aver sconfitto a Roma candidati come Carlo Calenda ed Emma Bonino. Da 25 anni in politica, è stata eletta consigliera del Municipio Roma II nel 1997, con Alleanza Nazionale. Confermata consigliera municipale nel 2001, scelta come assessora ai lavori pubblici e urbanistica. Cinque anni dopo, eletta per la terza volta al Municipio Roma II, è stata la più votata ed ha ottenuto l’incarico di capogruppo di An. Da consigliera capitolina insieme a Meloni aveva presentato una Proposta di iniziativa consiliare denominata «Riconoscimento e Tutela del diritto alla sepoltura dei bambini mai nati» che imponeva la sepoltura di tutti i feti anche contro la volontà della donna.

Un rapporto con i movimenti anti-lgbt ben saldo: nel 2014 presso la sala della Protomoteca del Campidoglio organizzò un convegno dal titolo “Ideologia del gender: quali ricadute sulla famiglia?” insieme all’Associazione Famiglia Domani. In concomitanza con la Giornata della Memoria. Per l’occasione il Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli si presentò con un triangolo rossa sul cappotto, un sit-in silenzioso che durò pochissimo, la consigliera quasi li mise subito alla porta lamentando la dittatura del pensiero unico.

Grazia Di Maggio è la più giovane deputata eletta con Fratelli d’Italia a Milano. È nata nel 1994, 28 anni Almirante è la sua «stella polare». Si definisce attivista «pro life», per «la difesa dei valori non negoziabili, la sacralità della vita, la famiglia, la tutela delle donne». Contraria alle quote rosa, antiabortista: «Un feto non è un esserino capitato per caso nell’utero: è un essere umano che ha diritto ad esistere ma che non ha ancora la possibilità di scegliere». In un video pubblicato pochi giorni prima della giornata mondiale contro l’omotransfobia, recita il solito rosario di frasi anti-lgbt: «La famiglia in questo momento storico è sotto attacco. Tuteliamo la maternità, contrastiamo l’ideologia gender e la sacralità della vita oltre che la famiglia naturale».

Mentre Paolo Inselvini che di anni ne ha 28, bresciano, responsabile cittadino del partito, entra alla Camera vantando il soprannome di “negazionista del diritto all'aborto”. Lo scorso 24 giugno, commentando la sentenza della Corte Suprema americana, scriveva: «Un grande passo verso il riconoscimento della piena dignità umana del nascituro, la sentenza nega il fatto che l'aborto sia un fantomatico "diritto". La nostra battaglia continua, oggi più che mai, nulla è perduto». Sui suoi social compaiono spesso anche bandiere di Casa Pound e posizioni omofobe e xenofobe. Da consigliere d’opposizione insieme ad associazioni come Pro Vita & Famiglia e il Family Day, ha dato vita a “Amministratori per la Famiglia”, allo scopo di portare avanti buone pratiche e buone proposte nei Comuni. «Facendo fronte comune, si può riuscire sia a salvare delle vite, sia a suscitare domande nelle menti delle persone». «Sul piano culturale bisogna passare dalla difesa all’attacco - specifica - evitando di muoverci soltanto quando la sinistra agisce. Bisogna contaminare l’informazione, cercando semplicemente di trasmettere il valore della famiglia e di farlo rispettare alle persone».

Anche Lorenzo Malagola, 39 anni approda a Fratelli d’Italia dal mondo anti-scelta. “Famiglia e natalità” è uno degli ultimi incontri realizzati all’Aquila insieme a Jacopo Coghe di Pro Vita & Famiglia. Eletto in Lombardia, è segretario generale della Fondazione De Gasperi e promette di portare alla Camera: «Un’antropologia positiva, che riconosce nella persona un punto di intangibilità e anche di trascendenza. Di fronte a tutto questo, dunque, il valore della vita dal concepimento alla morte naturale è un valore non negoziabile». Niente aborto, niente fine vita. Ma un avvertimento: «La stessa Unione Europea, se vuole sopravvivere, dovrà finalmente ripartire da un’agenda antropologica positiva, nel rispetto della vita, della persona e, soprattutto, nel rispetto della natura così com’è».

Per Guerino Testa, 52 anni, la lotta cardine è il gender nelle scuole: «Ognuno è libero di intendere la propria vita sessuale e le proprie inclinazioni come meglio crede, ma nelle scuole non si può pensare di descrivere ai giovani una tipologia di famiglia diversa da quella formata da un padre e da una madre, non da un genitore uno e un genitore due». Ed ancora, chiede che il Miur si «batta per la famiglia tradizionale» e dice che «per quanto riguarda il gender, io penso che spesso e volentieri questo modo di pensare sia diventato una moda, conosco tante persone che hanno deciso di vivere la loro sessualità in altro modo, porto rispetto alle loro scelte e non le giudico, ma nella scuola queste idee non possono entrare».

Maddalena Morgante 41 anni, dal 2021 responsabile regionale del Dipartimento Pari Opportunità, Famiglia e Valori non Negoziabili di Fratelli d’Italia in Veneto, è la prima donna della destra veronese ad essere eletta alla Camera. Tra le sue battaglie ricordiamo quella al fianco di Federico Sboarina contro la “cancellazione delle recite di Natale e di Pasqua” nelle scuole. Dallo scranno di deputata promette battaglia alla carriera alias tra i banchi: «Non sono ammissibili “carriere alias” nelle scuole italiane. Non si può permettere che un ragazzo o una ragazza possa trovare nell’istituzione scolastica non un aiuto a risolvere le incertezze legate all’adolescenza ma, invece, uno strumento di promozione della teoria del gender con l’introduzione del “gender fluid” ».

Mentre Eugenia Roccella, annuncia che presenterà nuovamente un disegno di legge per istituire il 25 marzo la «Giornata della vita nascente», per promuovere il valore della maternità nelle scuole e in tutte le istituzioni. Sul campo restano le vecchie glorie dell’anti-scelta: Rossano Sasso, già sottosegretario del ministero dell'Istruzione, Maurizio Gasparri, Isabella Rauti, Paola Binetti autori negli ultimi anni dello scambio partiti-movimenti cattolici che oggi raggiunge il suo apice e cambia anche le parole d’ordine.

Un altro nome che non è in Parlamento ma in odore di promozione è quello di Simona Baldassarre, possibile nuova ministra della Natalità e della famiglia, per contrastare «l’inverno demografico». Da sempre vicina all'associazione Pro-Vita & Famiglia, accusò il Parlamento Europeo di voler «tappare la bocca a chi racconta una realtà differente da quella del mainstream di Bruxelles», cioè i Pro-Vita. Antiabortista, si definisce una pontiera tra Bruxelles e Roma «In nome della Vita e della Famiglia». Il 30 luglio 2021 aveva bollato il governo come "nemico delle famiglie italiane" in riferimento al ddl Zan contro l'omotransfobia.

Dentro questo tempo fiammante - mai aggettivo fu più pertinente - uno slogan è in realtà una porta che apre a nuove sfide, come fa notare Massimo Prearo, Ricercatore in scienza politica dell'Università di Verona, massimo esperto di movimenti pro-life: «La "difesa della vita e della maternità" è in realtà la battaglia contro le donne che abortiscono. La "difesa della famiglia", indica le famiglie arcobaleno e i loro figli. La "libertà educativa" è in realtà una guerra all'educazione laica fondata sui principi della non-discriminazione e dell'uguaglianza. E ancora il "gender fuori dalle scuole", indica la possibilità che a scuola si parli di omotransfobia e bullismo». Un’evoluzione anche nel linguaggio, certo, non proprio verso il futuro.

lunedì 17 ottobre 2022

Appunti sulla sconfitta, 11.

Materiali per ragionare.

Adriano Sofri, dal suo profilo Fb.

Postfascisti, prefascisti...

Una storiella della mia infanzia: un tale entra in un bar e ordina un cappuccino. “Subito un cappuccino al signor pompiere!”, dice il barista. “Grazie. Ma come ha fatto a capire che sono un pompiere?” “Mah, un po’ tutto l’insieme, il tono, lo sguardo, e poi la tuta, l’elmetto, l’idrante...”. Ecco: come si fa a capire che Ignazio La Russa è fascista? 

Ma La Russa non rappresenta affatto il pericolo di un ritorno del fascismo. Rappresenta a suo modo il fascismo che non se n’è mai andato, e che dopo aver provato a rimettere in auge la veste classica perpetuata nella Spagna franchista, nel Portogallo salazarista, o rianimata nella Grecia dei colonnelli, fino a tutti gli anni ’70, diciamo, si è poi variamente convertito. Nel caso di La Russa, nella caricatura. Che proprio per la sua spensierata frequentabilità confermava l’idea cara a una maggioranza di italiani di un fascismo da commedia, alieno dalla tragedia se non per nefaste influenze esterne. E’ quella caricatura che finalmente si è messa a capo del Senato della repubblica, dopo averla fatta transitare per una lustra sequela di cariche. E’ simpatico, guida la visita domestica agli altari di cimeli fascisti e nazisti ma ci scherza su: vedete, il fascismo è finito, dunque anche l’antifascismo. 

Penso che non siano postfascisti, penso piuttosto che siano prefascisti – ho scritto. Sull’Europa in particolare, che è l’ambito essenziale di esercizio delle scelte politiche, incombe una traumatica rottura della abitudine alla democrazia. La guerra mossa dalla Russia all’Ucraina infedele ha questa posta. Alla presidenza della Camera dei deputati la vasta maggioranza di destra ha messo un uomo i cui pensieri sulla vita e la convivenza somigliano a quelli del patriarca Kirill. Quest’uomo – giovane, come Meloni, non ha fedeltà personali o famigliari cui obbedire – è oggi moderatamente favorevole all’indipendenza ucraina, perché non può farne a meno, e perché l’altro faro della sua condotta, la dirigenza nazionalista bigotta della Polonia, è strenua nemica dell’imperialismo russo e fautrice della resistenza armata ucraina. Complicazione che ha portato a rompere provvisoriamente l’alleanza fra Polonia di Mateusz Morawiecky e Ungheria di Viktor Orbán, senza peraltro incidere sulla comune convinzione di una degenerazione delle libertà occidentali, affine a quelle di Kirill e di Putin. 

Intanto in Svezia si firmava l’accordo sul nuovo governo di destra, con il determinante appoggio esterno del partito “di ultradestra” (a quali acrobazie lessicali costringe oggi questa discarica di destre) di Jimmie Åkesson, che si chiama serenamente Democratici svedesi, e ha tolto già da 16 anni dal suo simbolo una torcia – la sua fiamma, il mondo è piccolo – e ha addolcito il suo profilo esplicitamente nazista e razzista, tenendo ben ferma la xenofobia. Un po’ più in là, la Bielorussia, un pezzo d’Europa in cui il dittatore, Aljaksandr Lukašėnka, è “presidente” da 28 anni: un record che emula quelli africani. E che si spiega con una repressione violenta su una gran parte, probabilmente una maggioranza, della popolazione. Lui ce l’ha fatta, ed è ora l’attendente di Putin: Janukovich in Ucraina non ce la fece, ed è ora l’attendente disoccupato di Putin.

E così via. La predilezione ostentata di Giorgia Meloni – e dei suoi colleghi polacchi, e di Orbán e Le Pen – per l’estrema destra neofranchista di Vox, mostra come l’europeismo, inteso come apertura, investimento in una legislazione internazionale, solidarietà, sia un campo minato. Meloni ebbe la sua devozione alla presunta efficacia dell’autocrazia putiniana, e del resto l’edulcorazione dell’immagine del fascismo coltivata metodicamente in Italia, a lungo contrapposta all’edulcorazione dell’immagine del comunismo sovietico perseguita a sinistra, è poi trapassata senza ostacoli nell’edulcorazione del regime putiniano. Putin stava, meraviglia delle meraviglie, al passato del totalitarismo staliniano come un simpatico La Russa: corpo a corpo con l’orso, a letto con Berlusconi, amico di Brigitte Bardot e dei cuccioli di foca. Non era il genocida di Cecenia infastidito dall’esistenza in vita di Anna Politkovskaya, era il nostro ospite a Villa Certosa e alla Maddalena, Apicella alla chitarra e la Moskva alla fonda. La minimizzazione, l’edulcorazione, l’anestetizzazione – in realtà, la falsificazione: ha una grande parte nella storia del comunismo reale, e l’Ucraina è un ultimo capitolo, enorme, di quella storia imperterrita. Di Hitler non si poteva ridere: di Mussolini sì, e anche di Stalin. Quanto a Putin, era il nostro compagno di barzellette.

L’occidente è rotto. Oggi Giorgia Meloni è la garante di una prosecuzione dello schieramento italiano con Europa Nato e Usa al fianco dell’Ucraina, che senza di lei andrebbe precipitosamente in frantumi: armi, sanzioni, contratti. Gli Usa sono, pro tempore, i democratici di Biden. Ma già l’Europa e l’Italia “profonde”, come si dice, sono trumpiane. Il loro occidente è quello che Donald Trump rivelò platealmente, facendo vacillare dalle fondamenta l’idea immaginaria di occidente. Che ora è solo un’opzione, fragile, effimera, vulnerabile. Un bilico che può precipitare di qua o di là. 

In un simile paesaggio la destra italiana, vincitrice di elezioni che gli altri hanno perso mettendocela tutta, mostrerà la sua tempra. L’occasione fa l’uomo ladro. Quali che siano gli svolgimenti del terremotato paesaggio europeo e mondiale, non sarà il vecchio fascismo a sbattere i tacchi. Sarà la tentazione dell’efficienza di un governo insofferente di controlli e ritardi, della stretta sulla libertà delle persone di disporre di sé, cioè del proprio corpo, della volontà di umiliazione degli stranieri, della voluttà di essere “padroni a casa propria”, cioè di essere padroni, della voglia di darsi al più forte. Se questa sarà la scena prossima, le attrici e gli attori che l’Italia della nuova maggioranza di destra sta mettendo in campo sono promettenti. Non quali postfasciste, ma quali prefasciste. “Sono pronte”. 

Per finire, ora. Le mie due frasette di ieri hanno ottenuto l’attenzione dell’organo quotidiano di Fratelli d’Italia, “Il secolo d’Italia”, che non ha badato a spese. “La sinistra terrorista fa la morale. Adriano Sofri, mandante del delitto Calabresi, teme i ‘prefascisti’…”. Il resto potete leggerlo, se volete: mi attribuisce di aver detto così per vendicarmi di La Russa che aveva richiamato alla memoria il commissario Calabresi – “l’ispettore Calabresi”, aveva detto. Naturalmente, non mi era nemmeno passato per la testa. Per giunta, io non sono e non sono mai stato terrorista. Non sono mai stato mandante di delitti. E siccome non sono stato accusato giudicato e condannato dalla destra postfascista, i miei nemici stanno indimenticabilmente in ogni punto della composizione politica e umana. 

E’ molto stupido ignorare la mia parola, benché possa essere piacevole. Ogni volta che lo si fa, si commette un imperdonabile delitto. Oltre a non capire niente di quello che dico.

*

Antonio Areddu condivide su Fb un intervento di Lidia Procesi.

Qui è necessario prendere molto sul serio Meloni, e Meloni in quanto donna, anche se lei, accecata dal fascino fascista, ragiona come se fosse nata nel 1919, sul maschilismo e le sue onnipresenti strategie. Gli epiteti usati da Berlusconi sono noti alle donne, io li ho sentiti infinite volte, sono parole d’ordine che tornano sempre uguali, cariche di sarcasmo, ogni volta che un uomo riceve un no ferreo da una donna e capisce che in quel no c’è l’indifferenza totale verso la sua vanità maschile. Un pensiero sconvolgente. E lei ha detto no su Ronzulli etc. No alla possibilità che Berlusconi si spacci per deus ex machina del suo successo. Infatti Meloni ha replicato gelida che avrebbe dovuto aggiungere “non ricattabile”, come a sottintendere che non considerava gli altri epiteti offese ma medaglie. Un altro argomento riconoscibile, nelle donne che se ne infischiano della vanità maschile, accusate perciò di essere testarde, cocciute, indisponenti, ottuse (ridicole). Altro che Renzi. Ci si scorda della Ronzulli? O della attuale fidanzata eletta in Forza Italia? Si pensa che per una Meloni, con quella storia, queste prassi di volgare maschilismo sulla sua lotta per il potere, non siano una ripetizione pubblica dello squallore provato da ragazzina per il padre? Mai sottovalutare l’inconscio, anche se le sue questioni suonano come meschine banalità. Per me gli ha spiattellato che lui con tutta Forza Italia può benissimo sfilarsi dalla coalizione, peggio per lui, anzi, alla fascista, me ne frego, e che per quanto la riguarda Berlusconi è già un cadavere vivente e lo è tanto più in quanto ha osato immaginare di essere stato il suo inventore, che lei non sia che una creatura dell’onnipotente patriarca e padrino tribale senza cui non sarebbe esistita. E questo è un ottimo argomento, anzi, è il più forte, che spinge un inconscio femminile a sfoderare il coltello e procedere alla castrazione. Castrazione, a costo di tornare alle urne. Cosi parla l’inconscio. Meglio perciò sedersi in panchina a osservare senza farsi contaminare. In quanto ai “ franchi tiratori” per La Russa, io cercherei tra i “democristiani eterni”, come brillantemente definiti da Cirino Pomicino, alla Gianni Letta, personaggi che latitano nell’ombra, onnipresenti e pervasivi dietro le quinte in tutto l’arco costituzionale e oltre.

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Adnkronos16 Ottobre 2022.

IL PUNTO DI VISTA DI FOLLINI

Governo, Follini: "Meloni dovrà dar prova di spirito ecumenico e battagliero"

"Giorgia Meloni si è fatta da sé medesima, e dunque non sarà il caso di darle consigli. Tuttavia avrà constatato in questi giorni che non tutto procede secondo copione, che le difficoltà sono maggiori del previsto e che la 'luna di miele' che solitamente accompagna il nuovo governo all’indomani di una vittoria elettorale a lei è stata -almeno un pochino- preclusa. Dunque, sarà forse il caso che sia lei a dare qualche consiglio a se stessa e magari cominciare ad aggiornare il suo copione. Infatti, a meno di un mese dalle elezioni vinte e a pochi giorni dal varo del suo governo la prossima premier si trova nella inedita condizione di essere una vincitrice sotto scacco. Condizione alla quale c’è da credere -e perfino da sperare- che stia cercando di sottrarsi.

Le difficoltà del dopo voto sono due. La prima è il rapporto con l’establishment, la seconda il rapporto con gli alleati. La prima era prevista, la seconda un po’ meno. La prima difficoltà ha bisogno di molta pazienza e molta umiltà per venirne a capo. La seconda, al contrario, ha bisogno di modi più sbrigativi e incisivi per non restarne schiacciata. Sul fronte delle istituzioni sarà doveroso un passo cauto e felpato. Ma sul fronte del centrodestra si rivela necessario qualche gesto d’imperio. Senza di cui la futura presidente(ssa) del consiglio finirebbe per trovarsi sotto tutela in men che non si dica.

La partita giocata e vinta nei giorni scorsi al Senato regala a Merloni un grande vantaggio tattico sul Cavaliere. La risposta al 'pizzino' berlusconiano consolida quel vantaggio. Resta da vedere se diventerà strategico, e se la premier reggerà il peso di questo conflitto a lungo andare. Infatti i governi di coalizione sono sempre roseti pieni di spine. E le ultime vicissitudini fanno capire che per la prossima premier non si annuncia di certo, per restare nella metafora, un cammino su di un letto di rose.

È evidente che Salvini e soprattutto Berlusconi stanno cercando di ottenere attraverso la pressione politica e negoziale tutto quello che l’elettorato ha sottratto loro. Essi infatti hanno 'quasi' perso le elezioni, riducendosi via via a numeri più marginali. E tuttavia si ostinano a ragionare come se la chiave della maggioranza fosse tutta nelle loro mani. Così, alcune richieste ministeriali finiscono per rappresentare il girone di ritorno del campionato interno del centrodestra. Laddove Meloni ha vinto la sfida dei numeri elettorali e Berlusconi e Salvini contano almeno di non perdere quella degli incarichi di governo e della quotidianità della legislatura.

Si vedrà fin dalle prossime ore come andrà a finire questa seconda contesa. Ma è evidente, già ora, che le fibrillazioni della maggioranza imporranno a Meloni di ridisegnare la mappa degli amici e dei nemici. Poiché non è detto che tutto il centrosinistra le muoverà una guerra campale, dovendosi riorganizzare e non avendo troppo interesse a che le cose precipitino prima del tempo. E altrettanto non è detto che tutto il centrodestra la sosterrà al modo della falange macedone, se anche la trattativa sui ministeri dovesse concludersi più armoniosamente di come è cominciata.

In politica succede spesso che il tuo alleato ti metta in difficoltà. E qualche volta che il tuo avversario ti sia d’aiuto. Tutto questo non ha a che vedere più di tanto né con il tradimento né con la generosità. E’ la contesa pubblica, per la sua natura, che mette in scena le più diverse e curiose rappresentazioni. E un buon regista di se stesso deve sapere quando è il caso di fare il viso dell’arme, e verso chi; e quando invece ci si può lasciare il passo l’un l’altro.

Ora sui nomi del governo, sulle nomine paragovernative che seguiranno e sulla densa e fitta quotidianità che ci attende di qui in avanti la prossima premier dovrà dare prova di uno spirito ecumenico e battagliero al tempo stesso. A patto, s’intende, di non far confusione dando battaglia agli avversari sbagliati e mostrandosi troppo indulgente con gli alleati maldisposti. E a patto, per giunta, di non sbagliare le misure. Che in politica spesso sono tutto".

domenica 16 ottobre 2022

Cosa hanno in comune Barbara Steele, Egisto Macchi, Giuliano Sorgini e Febo Conti?

Poco fa guardavo un film di Barbara Steele ma ho pensato che si sta facendo notte, potrei spaventarmi e perdere il sonno. 

Ora ascolto un disco del 1973 di Egisto Macchi e Giuliano Sorgini. Macchi era un musicista colto ma per affrontare e risolvere i problemi gastronomici componeva anche colonne sonore e pubblicava dischi easy listening - un modo elegante per dire musica leggera -.

C'è un bel organo elettrico, penso suonato da Sorgini, non saprei dire se è un Hammond, non mi sembra, manca il tipico effetto Leslie, però non pare nemmeno il vecchio Farfisa di quell'epoca.

Mah, chissà chi lo sa? Come diceva Febo Conti.




Ascoltando Prima pagina di domenica mattina.

Sansonetti ha scoperto l'acqua tiepida.


Meno male che domani cambia conduttore, questa non si regge proprio.


"Putin è come Hitler", questa fa la giornalista?


Ultimo post, poi mi metto a lavare i pavimenti.

Lo stupro di guerra è una delle armi più antiche, non lo hanno di certo inventato quei bischeri dei soldati di Putin.

Tenendoci in territorio più pop. I soldati italiani non erano quelli del film Mediterraneo di Salvatores o dei Due colonnelli con Totò, che urla "ci si pulisca il culo!", e Walter Pidgeon.

sabato 15 ottobre 2022

Sarah Davachi.

Da qualche tempo sto riflettendo, forse ancora mi illudo di saper scrivere di musica, su delle giovani musiciste sperimentali che, ognuna per proprio conto, fa musica - droni - utilizzando organi da chiesa.





Appunti sulla sconfitta, miscellanea senza numero.

La Russa al Senato, Fontana alla Camera.

Nosferatu dove lo mettiamo?

...e, badate, siamo solo all'inizio, anzi prima dell'inizio.

*

Ascoltando Prima pagina.

Allearsi con Renzi? Si può fare ma non è facile. È roba per chi ama il rischio, ti arrivano certe coltellate sotto le scapole che fanno fumo.

**

Adoro i fogli lerci della Destra italiana, per me sono un toccasana, mi aiutano ad alzare l'autostima.

Libero:

"Se non sei dei loro diventi ''divisivo".

"Fontana linciato perché cattolico".

il Giornale:

"Gli eco vandali di Van Gogh? 'Gretini' in salsa di pomodoro".

"Fontana presidente della Camera e la sinistra lo lincia in diretta: 'Un omofobo, putiniano e nazista'".

"Il baby bandito 12enne dei Rolex: fermato e lasciato libero di colpire". Occhio, perché questo è un titolo più pericoloso di quello che sembra.

La Verità:

"Fontana alla Camera Sinistra ai matti: 'Italia in pericolo' E fanno lo sciopero del brindisi".





venerdì 14 ottobre 2022

Appunti sulla sconfitta (senza numero e senza immagini).

Libero:

"LA GUERRA È FINITA

Liliana Segre proclama La Russa presidente del Senato

Si chiude il cerchio dopo 80 anni di scontri sull'antifascismo".

Badate bene sull'antifascismo non sul fascismo.

*

Fontana è peggiore di La Russa.

**

Certo, ieri l'onorevole Trombetta e l'aspirante onorevole Antonio La Trippa avrebbero fatto la loro porca figura.

***

Sono tornati i franchi tiratori come ai tempi di Leone e Rumor, quando ero giovane e avevo i capelli biondi lunghi sulle spalle e gli occhi azzurri.

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Litigano alla grande, ci riescono a fare il governo?

Oddio, magari arrivano i fidi ascari renzicalendiani o le truppe delle stelle (quelli che, partiti per stare da soli, alla fine sono stati con tutti ma proprio tutti).

giovedì 13 ottobre 2022

Appunti sulla sconfitta, 10.

All'alba i pensieri si accavallano senza disciplina. Mi viene in mente che cinquanta anni fa, le boomer più inconsapevoli e meno strutturate si informavano leggendo, su Annabella, Brunella Gasperini e la rubrica di Anna Del Bo Boffino pubblicata da Amica. Le giovani di inizio Terzo millennio seguono Selvaggia Lucarelli e Ferragni.




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Pierluigi Battista: "nazionalismo liberale", "risorgimento ucraino".


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Accordo trovato per i presidenti delle camere, si temono franchi tiratori. Siamo nel '74?

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Presidenza del Senato, il Pd voterà scheda bianca. Nemmeno un candidato di bandiera siete riusciti a trovare, una volta votavate Malagugini (non ricordo se padre o junior).

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Calenda parteciperà al sit-in davanti all'ambasciata russa, se non cambia idea nel frattempo.

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Sono preoccupato, Gi Emme mi fa quasi tenerezza.

mercoledì 12 ottobre 2022

Appunti sulla sconfitta. Scusate il ritardo.

Scusate il ritardo, mi sono preso qualche giorno di pausa, non avevo antiemetico in casa.


I fogli lerci della Destra nostrana incominciano a preoccuparsi.

Libero:

"Lite nel Centrodestra

NON FATE SCHERZI

Non c'è ancora un accordo sulla formazione del governo

Occhio, così si rischia una falsa partenza".


il Giornale:

"LEGISLATURA AL VIA TRA LE TENSIONI

VIETATO PARTIRE MALE

Centrodestra, ancora non c'è l'accordo su presidenti delle Camere e ministri

Meloni: 'Governo politico'. Ma un inizio litigioso sarebbe imperdonabile".


La Verità:

"IMPAZZA LA GIOSTRA DEL TOTO MINISTRI MA DAVVERO CE NE SERVONO COSÌ TANTI?".

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Che parabola imbarazzante: Giovanni Lindo Ferretti in prima pagina de La Verità.



Materiali per ragionare.

Due post dalla pagina Fb di Corradino Mineo.
"Diciamolo, il Pd porta sfiga. Da quando fu fondato niente più è andato bene per la metà del paese che non vuole le destre. O, almeno, il Pd non è riuscito a offrire un racconto sensato di quel che accadeva, a fissare un punto da cui muovere verso il futuro. Nel 2007, nata di nascita, a Palazzo Chigi Prodi, al Quirinale Napolitano, presidenti delle Camere Marini e Bertinotti. Chi vince piglia tutto. Da questa geometrica potenza nacque il veltroniano “partito a vocazione maggioritaria”. Ma Berlusconi non era sconfitto. Usò un’inchiesta giudiziaria (con l’arresto della moglie) per staccare Mastella da Di Pietro e Prodi, usò la sfiducia votata anche dal comunista Turigliatto, ci aggiunse del suo, conquistando De Gregorio, e il governo cadde. 
Il Pd riunì 14 milioni di voti, ma suo “principale avversario”, 17. Due anni dopo Veltroni chiese scusa, disse di non essere riuscito a vincere “l’Italia del Gattopardo” e si dimise. Altri due anni dopo (quasi 3) si dimise pure Berlusconi, assediato al Quirinale da una folla ostile. Ma Napolitano non volle elezioni. Insediò a Palazzo Chigi Monti, con il mandato di sanare i danni della destra con tagli delle pensioni e del reddito del ceto medio. Quando infine si andò al voto Bersani giurò: “mai con Berlusconi”. Ma 8 milioni di italiani, era il 2013, scelsero il “vaffa” anticasta di Grillo. I 101 votarono contro Prodi Presidente. Napolitano, accettò un secondo mandato e impose governi Pd-Berlusconi, poi Pd-Alfano. Perché riteneva che i 5S fossero una riedizione dell'estremismo anni 70.  
La “vocazione maggioritaria” ebbe un sussulto con il golpe interno che proiettò a Palazzo Chigi un tale Renzi, che ridusse i diritti dei lavoratori e scrisse una Costituzione il cui vero fine era l’elezione diretta del primo ministro e, in dono, un gruzzolo di parlamentari per governare a piacimento. Progetto sconfessato da 19 milioni di italiani. Ma Renzi restò segretario perché il Pd governava ancora, con Gentiloni. E pose la fiducia su una legge elettorale che affidava al segretario il diritto di scegliere i parlamentari. Così le elezioni 2018 le vinsero i 5Stelle e la Lega. Il Pd cambiò il segretario, non la politica. 
E, quando Conte ruppe con Salvini, fu felice di tornare al governo. Pazienza se Renzi si portò i suoi fidi, con cui poi ricattare il Conte2. Zingaretti non ottenne una alleanza stabile coi 5Stelle. E ciò permise a Italia Viva di togliere la spina al governo giallo rosso senza rischiare il voto. Mattarella frenò le destre (che forse avrebbero vinto) e volle Draghi a Chigi. Ma Conte, quel governo lo subì, il Pd ne fu entusiasta. Così quando Conte, non votò la fiducia, per recuperare parte dei consensi che il Movimento andava perdendo, Letta cercò di imbarcare Calenda e Renzi. Respinto, si fece bastare Bonelli, Bonino, Fratoianni. Quasi solo, chiese voti niente meno contro il fascismo.
Che ne dite? Un partito con la forma dell’acqua, che riempie buche e fossati, senza spiegare perché. Che ha governato 13 anni sui 15 della sua vita. Senza aver vinto un’elezione. Che ha teorizzato il “campo largo” contro le destre ma è rimasto solo. Eppure, il Pd -ha ragione Canfora, sul Fatto- “ha mantenuto la percentuale del 2018”. Mentre Forza Italia, Lega e Movimento hanno perso hanno più che dimezzato il loro peso. Ma ha ragione Cuperlo a mettere il dito nella piaga: “ha vinto una destra sociale che non si sconfigge solo opponendole una sinistra delle libertà. Ha vinto con l’arma più potente della politica, che è l’ideologia, promettendo sostegno a ceti impoveriti e legittimando il pensiero reazionario. Noi (il Pd) abbiamo perso negli ultimi 10 anni”. Proposte dell’ultima ora, come il no agli “stage” gratuiti, al lavoro sotto ricatto dei giovani, non soni state credute. I “Tempi moderni” -li chiama Biani- dei rader in balia di un algoritmo, la paura della guerra, la necessità dell’Europa ma l’evidenza della sua crisi non hanno trovato un racconto. E del Pd resta l’immagine dei troppi galli che si vedono segretario, delle correnti, che sono solo cordate di interessi, delle parlamentari che si affannano a denunciare il torto fatto loro dal Pd piuttosto che rappresentare  l'insulto nel mondo che subiscono le donne.  
È la seconda forza per voti. Ma per battere la prima, dovrebbe trovare una politica, riunire le sinistre, parlare a chi teme il domani. Fare quello che non gli è mai riuscito. Vasto programma."

"Che governo sarà? Molti “tecnici” stanno rispondendo a Meloni “no, grazie”, Berlusconi e Salvini alzano il prezzo, La Russa vuol diventare vice Mattarella, cioè Presidente del Senato. Qualche dubbio comincia ad affiorare nei giornali della destra..
Tutti in piazza per la pace. Con Letta, domani, davanti all’ambasciata russa? Con Acli e Arci e senza insegne di partito? Con Conte, contro le armi che Draghi manda all’Ucraina? Secondo il “non pacifista” e accademico dei Lincei, Pasquino, Domani, “Non serve solo la pace ma una pace giusta”. 
Molti ucraini temono di restare al freddo e senza luce, Stati Uniti e Germania promettono sistemi di difesa antimissile, Lavrov lancia l’idea di un incontro Biden Putin al G20 in Indonesia. Se tre indizi sono una prova (Repubblica, Corriere e Arte) siamo di nuovo in guerra contro il comunismo cinese e Mao - Xi Jinping. 
Infine, Greta Thumberg dice alla televisione pubblica tedesca: “Se sono già attive, sarebbe un errore chiudere le centrali nucleari per affidarsi al carbone”. Cerasa, il Foglio, interpreta liberamente che è meglio costruire nuove centrali nucleari che puntare sulle rinnovabili. E, scrive, il governo Meloni lo farà.".

Left, 6 Ottobre 2022. Stefano Galieni.
Citto Maselli: La mia Lettera aperta… alla sinistra in crisi

Le sue opere, la sua storia, il suo impegno politico. A colloquio con il grande regista “protagonista” del docufilm di Daniele Ceccarini “Citto” nelle sale dal 10 ottobre

Il 10 ottobre è una data importante per chi ama il cinema. Arriva infatti nelle sale Citto, il film documentario realizzato da Daniele Ceccarini e presentato, in anteprima, al Pesaro film festival. Un lavoro interessante, incentrato sulla figura del grande regista Citto Maselli di cui si ricostruisce il profilo, la storia, il lavoro ma non solo. Citto (il nome deriva dal diminutivo di Francesco ed è frutto dell’intuizione di suo zio Luigi Pirandello), utilizza foto d’epoca che lo vedono con ad autori come Zavattini, Visconti, Antonioni, brevi frammenti di film in cui si riconoscono attori straordinari come Gianmaria Volonté, Claudia Cardinale e tanti altri, amici, registi, collaboratori, compagni di vita e di impegno politico.

Maselli, sulla soglia dei 92 anni rivendica la propria identità e il proprio ruolo politico. Scorrono e si alternano nel documentario, personalità del cinema a dirigenti politici, intellettuali, uomini e donne che lo  hanno incrociato  nel suo percorso. Grazie anche alla collaborazione della sua compagna Stefania Brai, abbiamo avuto modo di intervistare il maestro Citto Maselli, nel senso profondo del termine, che ha conservato l’anima giocosa, profonda ma limpida con cui ha attraversato il secolo e le sue risposte conservano una forza e una modernità che hanno ancora molto da insegnare.

La prima domanda è d’obbligo: si riconosce nel modo in cui è stato raccontato nel lavoro di Daniele Ceccarini?
Francamente provo quasi imbarazzo per come il film di Daniele si esprime positivamente nei miei confronti. Mi piacerebbe poter essere davvero come sono raccontato nel film. Ma voglio anche dire che il regista e i suoi collaboratori hanno fatto un lavoro eccezionale, considerando oltretutto che è un film interamente autoprodotto. La cosa che più mi ha colpito e commosso è l’amore di Daniele verso il cinema in generale e verso il mio cinema.

Le attrici e gli attori con cui ha lavorato hanno un modo di parlare di lei che colpisce. Colgono la sua capacità  nel dirigerli sul set e contemporaneamente dicono di sentirsi profondamente rispettati come professionisti. Più di uno parla di amore verso chi è inquadrato dalla cinepresa. Cosa pensa di queste considerazioni?
Nel corso degli anni in realtà ho modificato il mio modo di lavorare con gli attori. Sono partito dall’estrema autoritarietà, seguendo Visconti e in parte Antonioni, nel senso che tendevo ad impostare nei dettagli tutta la recitazione. Poi sono cambiato radicalmente: cerco prima di tutto il rapporto umano e riscrivo il copione mano a mano che va avanti il mio lavoro con gli attori. Ho un profondo rispetto del loro lavoro perché conosco a fondo quanto è delicato e difficile (forse anche perché sono stato per molti anni il compagno di un’attrice). E sono molto felice che questo rispetto venga recepito dagli attori che hanno lavorato con me.

Ceccarini coglie il valore politico del suo lavoro. Come spiegherebbe ad un regista di oggi l’importanza di fare una scelta militante?
Gli racconterei quello che mi ha insegnato Luchino Visconti, di cui ho avuto l’onore di essere stato amico e assistente alla regia: da un lato l’etica del lavoro e dall’altro la consapevolezza che stai facendo un lavoro artistico ma che insieme hai una enorme responsabilità umana e sociale, che poi è anche politica. È la lezione che io, da comunista, ho cercato di mettere in pratica nella mia vita. Come ho già detto, sono dell’idea che non solo questa società debba essere cambiata, ma che l’arte ha una responsabilità e una possibilità in più in questo processo di cambiamento, per contribuire a creare una coscienza generale. Direi ad un regista, oggi, che anche con l’arte si può cambiare il mondo.

Nel docufilm c’è una attenzione particolare sugli inizi, a partire dall’esordio con Zavattini in “Storia di Caterina”. Come ricorda quell’esperienza?
Zavattini oltre che un grande scrittore e sceneggiatore è stato un grande intellettuale. Intellettuale avido di confrontarsi sui grandi temi del presente con altri intellettuali e con i giovanissimi che lo incuriosivano. Io ero tra questi nel 1951, quando passavamo delle lunghissime serate da lui con Giorgio Bassani, Attilio Bertolucci e Augusto Frassineti per un film a episodi da immaginare e scrivere, ma in realtà per discutere di tutto: dalle ombre viola di Manet alla modernità sbalorditiva di Goya, dalla riscoperta di Gongora alla pubblicazione di Sant’Elia da Scheiwiller, dal ruolo dell’Unione sovietica di allora alla guerra in Corea dove erano intervenuti da poco “i volontari cinesi” creando discussioni a non finire e portandoci fin da allora implacabilmente al tema centrale della pace. Zavattini aveva visto uno dei miei primi documentari: Bagnaia. Ne era entusiasta e mi dette la possibilità di fare il mio vero primo film. Era convinto che avrei fatto una cosa giusta e forse è la cosa più bella che ho fatto. Con Zavattini si sviluppò poi un sodalizio politico-culturale che è durato 50 anni, fino alla sua morte.

Lei ha provato a rivoluzionare il festival di Venezia mettendo in connessione esperienze artistiche anche molto diverse fra loro. Pensa che nel cinema, come nella vita sociale, sia ancora praticabile il concetto stesso di “rivoluzione”?
La “rivoluzione” di Venezia era nella trasformazione del festival in una istituzione che proponeva a tutti gli artisti di tutto il mondo e di tutte le discipline un laboratorio di sperimentazione, esposizione e confronto capace di consentire alla cultura e all’arte uno sviluppo slegato dalle logiche mercantili e dagli infiniti condizionamenti che pesano su questo settore determinante nella e della vita di tutti. Anche quella piccola rivoluzione è stata poi sconfitta con un ritorno alla cosiddetta “normalità”. Così come sono state sconfitte quasi tutte le conquiste sociali e culturali della metà degli anni 70, che riguardavano i diritti fondamentali dei lavoratori. Per cui sì, il concetto di rivoluzione – nella produzione artistica così come nella società – non solo è ancora praticabile, ma sempre più necessario. C’è uno straordinario editoriale dei primi anni 70 di Luigi Pintor che finisce con parole per me illuminanti, il cui senso ho cercato di illustrare in tanti miei film: lui parla della globalizzazione, dei suoi effetti devastanti, del dominio dell’economia e del profitto ai danni dei parlamenti che divengono “lacci e laccioli” e dei sindacati che non sono altro che “nemici da battere”; tutto ciò – dice Pintor – determinerà migrazioni di interi continenti, vi saranno catastrofi e tragedie inenarrabili: “finché la terra tremerà di nuovo sotto i nostri ben calzati piedi”.

Ripensando a “Lettera aperta a un giornale della sera” cogliamo ancora una grande attualità micidiale anche se il mondo del XXI secolo è profondamente cambiato. Quali corde voleva toccare con quel film?
In Lettera aperta parlavo di sentimenti e contraddizioni che avevo io stesso vissuto sulla mia pelle: non era una storia vera, ma vero era il meccanismo del rapporto tra intellettuali e partito. E’ il tentativo di raccontare proprio il disagio profondo di essere persone che vogliono cambiare il mondo dentro un ambiente tutto organizzato per la costruzione del consenso, per l’adeguamento all’esistente. Chiunque sia comunista, in una società capitalistica, vive queste contraddizioni: gli intellettuali in particolare, che hanno canali privilegiati di potere, di denaro, di esposizione mediatica. Oggi il ruolo degli intellettuali comunisti – ma direi di qualunque intellettuale degno di questo nome – è quello della costruzione assidua, accanita di una cultura critica, di un’intelligenza critica della realtà. Dice Gramsci: “Lottando per modificare la cultura… si lavora a creare una nuova arte, non dall’esterno … ma dall’intimo, perché si modifica tutto l’uomo in quanto si modificano i suoi sentimenti, le sue concezioni e i rapporti di cui l’uomo è l’espressione necessaria”.

Chi parla, nel documentario di “Storia d’amore” ne coglie il profondo senso politico, anche qui lei sembra sperimentare qualcosa nel narrare che oltrepassa ogni definizione di genere. È questo anche un manifesto profondo del tuo essere comunista?
Ho sempre cercato di sperimentare linguaggi diversi a secondo a di quello che volevo esprimere. Quando dico che i film sono prototipi e non prodotti, voglio dire proprio questo: ogni film è un’operazione espressiva unica che non può e non deve ricadere nelle formule preordinate. Riguarda l’essere autore più che l’essere comunista. Se poi le due cose coincidono…

Wilma Labate racconta dei giorni del G8 di Genova in cui andaste in tanti, come registi, a costruire un racconto collettivo necessario. Esiste ancora secondo lei il bisogno di un intellettuale collettivo in grado di capire il presente?
I film collettivi sono nati dall’esigenza di molti autori di raccontare la realtà più profonda delle conflittualità che non sono sempre e necessariamente lotta di classe. Per questo costituimmo l’associazione “Cinema del presente”. La progettazione, la scelta dei temi, la chiave di lettura era frutto di un lungo lavoro collettivo, ma poi lo “sguardo” sulla realtà era ovviamente individuale, per tornare con il montaggio, a formare un “racconto collettivo”. Ma non si può parlare di intellettuale collettivo. Se poi mi chiedi se penso che per capire il presente e ancora di più per cambiare il presente ci sia bisogno di un partito-intellettuale collettivo, la risposta è assolutamente sì.

Il mondo intellettuale e culturale che viene raccontato nel lavoro di Ceccarini  rappresenta con molte sfumature il suo modo di guardare al mondo e all’umanità. Quali sono quelle per lei più importanti?
Sempre guardando alla conflittualità di classe: non però in modo astratto ma attraverso le sofferenze, le contraddizioni, le difficoltà umane e individuali oltre che sociali.

Da ultimo c’è una scena in cui Ken Loach racconta di quando concludendo una serata con vari registi, lei intonò l’Internazionale e gli altri le vennero dietro, ognuno con la propria lingua. È forse quella “futura umanità” in tutte le lingue che dobbiamo, come ogni utopia, continuare ad inseguire?
Assolutamente sì. La versione francese dell’internazionale dice infatti che l’internazionale sarà “il genere umano”.

Striscia rossa, 6 Ottobre 2022. Susanna Camusso.
Il mio impegno per ricomporre la lacerazione tra il PD e il mondo del lavoro
Nel 2016 la Cgil fece una campagna straordinaria di assemblee – in tutti i settori e in tutto il Paese – per promuovere tre referendum e la proposta di legge della Carta universale dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. Credo sia stata l’ultima grande e diffusa campagna di assemblee di lavoratori e lavoratrici. Uscimmo da quello straordinario viaggio con la consapevolezza della solitudine del mondo del lavoro: da un lato ci era stato restituito un messaggio positivo sulla ricostruzione dei diritti del lavoro e, insieme, il bisogno di uscire dalla solitudine e dall’invisibilità. Constatammo, senza perifrasi, la misura della rottura, della sfiducia nei confronti della politica, del governo, del centrosinistra.

Il “non ci vedono”, che nel frattempo è diventato “non ci hanno visto”, era la costante degli interventi sul rapporto con la politica. Jobs act e Buona scuola hanno rappresentato un punto di rottura: mentre le crisi industriali restavano irrisolte, veniamo propagandati modelli competitivi e colpevolizzanti, al contempo si negavano diritti sociali necessari a contrastare le insicurezze.

Sentii, allora, la responsabilità di condividere l’esito di questa consultazione con i gruppi parlamentari del centrosinistra, i direttori dei giornali e il Presidente della Repubblica (l’unico che mostrò curiosità ed interesse ad approfondire). Certo non era un sondaggio, né un’inchiesta scientifica, ma nemmeno uno sfogo. Era il maturare di una frattura già avvertita qualche mese prima, alle elezioni regionali dell’Emilia Romagna, quando – durante un attivo dei delegati in piazza Maggiore a Bologna – delegati storici di importanti fabbriche mi informarono della loro decisione di non andare a votare, rompendo un vero tabù della nostra cultura. Per chi non ricorda, furono le elezioni del 37% di votanti.

Un marchio non spendibile
Non scopro oggi, quindi, il processo per cui il PD è diventato un “marchio non spendibile”, non rappresentativo delle istanze del mondo del lavoro; so come e quando è arrivato a compimento il processo di rottura. Ho visto come sia più lacerante e generi maggior solitudine la frattura simbolica col lavoro se avviene nel centrosinistra. Rottura più profonda che non quella con il governo Monti. Allora, infatti, Barca votò contro nel consiglio dei ministri e Bersani ottenne modifiche che salvaguardavano la sostanza della tutela dell’art.18.

Sono partita, apparentemente, da lontano perché penso che la più grande responsabilità sia stata quella di non confrontarsi sulla rottura con la “base ideale” della sinistra. Nel continuare a pensare che impresa e lavoro siano sinonimi, che i diritti sociali esistano solo quando c’è surplus e non per effetto di politiche redistributive, che la precarietà sia superabile inseguendo l’araba fenice della flexsecurity, che la discriminazione delle donne sia risolvibile nello sfondare il tetto cristallo per poche senza guardare alle molte.

Nello stesso tempo ho sempre pensato che non si potesse immaginare una nuova sinistra plurale e di governo senza fare i conti con il PD.

Ho fatto la campagna elettorale candidata nelle liste di Italia Democratica e Progressista provando a proporre e valorizzarne il programma, credo il più a sinistra degli ultimi venti anni, che pur senza autocritiche, un po’ in sordina, comincia a fare i conti con gli errori e le rotture.

Un programma che permette di ragionare di futuro a partire dalla lotta alle diseguaglianze, dal valore del lavoro, dell’ambiente e del contrasto al cambiamento climatico. Che dice che i diritti civili, fondamentali, non sono in alternativa a quelli sociali, anzi, gli uni senza gli altri possono far regredire entrambi.

Voglia di discutere
Ho incontrato in campagna elettorale molti militanti – giovani e non – che non hanno paura di discutere di errori e di proposte; ho invece sentito il peso dei comitati elettorali, incapaci di elaborare il lutto per la fine del governo Draghi – tradotto invece in slogan elettorale – e senza voglia di mettersi in gioco sul che fare.

Nella prossima legislatura rappresenterò una regione del Mezzogiorno (la Campania, ndr), e continuo a vedere i giovani e le giovani che se sono andati, le reazioni all’autonomia differenziata, l’insofferenza allo sprezzo con cui si da la colpa della povertà e si bollano come assistenzialismo gli interventi per mitigarla. Il senso di una parte del Paese che si sente non vista e non conosciuta, come tanti lavoratori e lavoratrici.

Così come ho avvertito che aver rimosso il tema della guerra dalla campagna elettorale non diminuisce la paura e l’insicurezza, e sarebbe necessario avere proposte di pace.

Di questo credo che si debba discutere nel PD per definire le scelte di rappresentanza e le politiche che rispondano al grande tema delle diseguaglianze. Sono queste le ragioni che mi hanno portato a firmare l’appello Bindi, De Masi, Montanari, Bruni ed altri: non il gioco “scegli le alleanze e scoprirai chi sei”, ma la volontà di proporsi una sinistra unita, plurale, di governo, cha ha dinanzi a sé una stagione – probabilmente lunga – di opposizione che sarà anche la misura delle scelte e del profilo politico.

martedì 11 ottobre 2022

Maledetti!

Da molti giorni ricordo spesso l'ultima scena del film Il pianeta delle scimmie, quello originale con Charlton Heston.

Appunti sulla sconfitta, al mercato delle vacche?

È la costruzione della squadra di governo, il mercato delle vacche o l'assalto alla diligenza?

In ogni caso non riesco a emozionarmi più di tanto, sono anziano e ne ho viste di cose...

Blando senso di noia e di déjà vu, in più un pochino di nausea.



Domanda impertinente, ricercando l'ipocrisia come un rabdomante.

Qualcuno riesce a ricordare una guerra dove non si ammazzavano i civili?

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Se scrivo Putin o Zelens'kyj sono abbastanza sicuro di ricevere qualche visita dalla Russia. È già successo, le Bagatelle di Gici diventano internazionali.



lunedì 10 ottobre 2022

Giorni perduti.

Giorni perduti, romanzo di Charles R. Jackson - titolo originale: The lost weekend -, lo lessi una trentina di anni fa, all'inizio anni Novanta o verso la fine degli Ottanta, il film lo avevo visto in televisione molto prima.

Grande romanzo e grande il film di Billy Wilder ispirato al libro (lo supera solo, forse, I giorni del vino e delle rose con Jack Lemmon e Lee Remick).

La copia che possiedo la presi in un mercatino dell'usato, penso di aver speso mille o duemila lire, adesso su Ebay i prezzi vanno da quindici euro in su.