Secondo un sondaggio Swg a una settimana dalle elezioni FdI continua a crescere.
Perché stupirsi?
È nella natura degli italiani correre in aiuto di chi vince, salvo poi assestargli un calcio nelle gengive quando perde ed è a terra.
AH, LES ITALIENS!
Ascoltando Prima pagina.
Quello che mi preoccupa e deprime è che la gente considera i 5s un partito di sinistra.
Sempre da prima pagina, un ascoltatore paragona Giorgia Meloni a Dolores Ibárruri.
Ora ho sentito proprio tutto.
Battuta molto autoironica, non perché sono pidino.
Quelli messi peggio, secondo me, sono i sampdoriani pidini.
Materiali per ragionare.
Un contributo Fb di Carlo Bitossi, che condivide sul social un articolo di Antonio Gibelli.
Condivido in toto, punteggiatura inclusa, questo intervento di Antonio Gibelli sul Decimonono di ieri.
La trovata del giorno: il PD si autoaffondi (esce sul Secolo XIX lunedì 3/10)
Di fronte al risultato deludente del PD, l'ultima trovata di diversi commentatori, certo non sospetti di ostilità preconcetta, è a dir poco sorprendente. Per rimediare alle ammaccature e all'inarrestabile consunzione che lo divorerebbe, il principale partito oggi all'opposizione (un quinto dell'elettorato, un quarto come coalizione, recente vittoria nelle elezioni amministrative, sindaci nelle maggiori città italiane, nel pullulare di protagonisti sgomitanti al di sotto del 10%) non avrebbe altra scelta che questa: dissolversi. Non basta un congresso (assise di cui Letta ha già indicato dettagliatamente i compiti e le fasi e che nessun altro, per quel che ne so, pratica, preferendo bagni di folla, consultazioni anonime online, raduni con salsicce). No, bisogna proprio sparire, rompere le righe e uscire di scena. Togliere il disturbo. Nella proverbiale propensione tafazziana dell'area progressista, non mi risulta che un livello simile sia mai stato toccato. Per giunta, non è ben chiaro come il salutare proposito andrebbe perseguito. Forse per l'autoscioglimento occorrerebbe almeno un congresso, appunto. A patto che il congresso avesse come unico punto all'ordine del giorno il seguente: come sparire.
Paradossi a parte, certo il suggerimento estremo nasce dalla constatazione di un distacco drammatico tra l'apparato politico del partito e le istanze sociali e culturali che si muovono nel Paese, di cui un esempio particolarmente mortificante è stata la spietata contestazione di Laura Boldrini da parte di un gruppo di femministe. La richiesta di un congresso vero, senza trucchi nè traccheggiamenti, è sacrosanta e una profonda autocritica dei gruppi dirigenti è indispensabile. Ma qualche domanda potrebbero porsela anche le élite militanti e le microfrazioni che si autoproclamano unica e vera sinistra, ormai assuefatte a un ruolo di testimonianza sempre più esile e inefficace. E' giusto chiedersi cosa ha fatto la sinistra partitica per noi cittadini democratici, ma può anche essere utile interrogarsi su cosa abbiamo fatto noi cittadini democratici per la sinistra: e il fare in questione può essere anche un contributo non recriminatorio a capire cosa sia successo di tanto sconvolgente nell'ultimo trentennio, nella realtà socio-economica mondiale e nazionale prima ancora che nella soggettività politica, da aprire la strada al degrado delle democrazie fino alle vittorie della destra reazionaria. Del resto, non mi risulta che qualcuno abbia suggerito al Movimento 5Stelle di autodistruggersi quando i sondaggi lo davano intorno al 10%, uno dei fondatori sequestrava la piattaforma digitale, il capo supremo e padrone del simbolo insultava come incapace l'incaricato del recupero, gli statuti erano in mano ai tribunali.
E qui veniamo all'altra faccia della medaglia. Chi dunque occuperà lo spazio lasciato libero dal preconizzato dissolvimento del PD? Semplice: la formazione capeggiata da Conte, stella nascente della riscossa. I 5Stelle di sinistra? Non scherziamo. Questa disinvolta movimentazione delle pedine sulle caselle elettorali è un'operazione strumentale che cozza con una semplice ricostruzione della storia. Il movimento fondato da Beppe Grillo ha dato un robusto contributo all'ondata populista, replicandone i tratti essenziali: capo carismatico, aspettative palingenetiche, disprezzo per la politica nelle sue forme partitiche e parlamentari, progetti utopici di sostituzione della democrazia rappresentativa con forme controllate dall'alto di democrazia digitale. Il sociologo De Masi, principale artefice della sua rimonta elettorale, ha scritto che, mentre il PD dice di essere di sinistra senza esserlo, il M5Stelle è di sinistra senza dirlo. Definizione brillante, ma superficiale. Per essere di sinistra non basta sottoporre in fretta e furia il tronco populista a una verniciatura sociale a scopi elettorali. E non basta nemmeno avere come riferimento principale le masse povere gettate ai margini dai processi di globalizzazione, a cui offrire sacrosante misure assistenziali che tuttavia non sconfiggono la povertà ma la compensano parzialmente. Essere di sinistra è un progetto complessivo. Implica una politica decisa di lotta contro le diseguaglianze e di inclusione della popolazione migrante e non una rincorsa delle ossessioni securitarie già condivise con Salvini. Non è compatibile con politiche regressive come quelle difese a spada tratta dei superbonus edilizi, che hanno avvantaggiato i cittadini più ricchi e creato una catena inarrestabile di truffe pagate coi soldi dello Stato. E si potrebbe continuare...
La verità è che la metamorfosi dei 5Stelle, complicata e frenata da illusori ritorni alle origini, accompagnata da un PD speranzoso di poter contare prima o poi su un alleato affidabile, non è avvenuta compiutamente. Dire che il PD deve dissolversi e contemporaneamente affidarsi ai 5S come incaricati di coprire l'area della sinistra è grottesco, ed è deprimente che in odio al PD, in questo cupio dissolvi per conto terzi, la tesi sia sostenuta anche da intellettuali di quest'area, in parte gli stessi che avevano salutato come alternativa credibile gli albori del populismo digitale mascherato da democrazia diretta.
Commentando i risultati elettorali, Conte non ha dismesso l'abito spavaldo che gli ha permesso di sottrarre voti al PD. Ha parlato da vincitore pur avendo perso in percentuale la metà dei voti conquistati dal Movimento nel 2018. Ha detto che se mai potrà riprendere l'alleanza, ci vorrà del tempo e il PD dovrà fare molto cammino per depurarsi. Si guardi attorno e veda se per caso anche a lui non serva tempo e umiltà per tirare fuori dal pantano la formazione politica di cui è venuto casualmente a capo. Cominciando col chiarire se la distinzione tra destra e sinistra, sempre guadata come un'ubbia da trogloditi, torni ora utile in qualche modo per definire una collocazione di campo entro la quale lavorare per provare a risalire la china in un momento infausto di sconfitta. Insomma, dica se l'attributo di forza di sinistra gli è almeno gradito e conforme, anziché lasciarlo dire a De Masi.
Ritanna Armeni, dal suo profilo Fb.
"No, non fanno opposizione a Meloni, per quella non sanno neppure da dove si comincia. A una settimana dal voto l’atteggiamento di chi ha perso oscilla fra due poli : l’insulto rabbioso, bugiardo e quindi controproducente e il paternalismo maschilista “ le diciamo noi quello che deve fare” . Lei, povera donna, alla fine seguirà la strada che altri hanno disegnato per lei.
Una volta per tutte. Giorgia Meloni non va insultata. Va combattuta. Che è diverso ed è più difficile. Se non siete capaci state zitti e zitte e pensateci.
Anche io sono convinta che in politica estera e in politica economica le decisioni del suo governo saranno su molte questioni simili a quelle di chi l’ha preceduta. Ma nessuno si è mai permesso di dire che Draghi o Monti o non so chi si facevano guidare da Merkel , Lagarde o chiunque altro. Uomini , seri , colti autonomi vero? Una donna invece va guidata. E se viene guidata anche se farà cose nefaste siete contenti . Quanto mi avete stufato! Ma davvero!".
Left, 4 Ottobre 2022. Giulio Cavalli.
Nostra signora dell’Ipocrisia
La politica fertilizza la memoria breve, brevissima. Funziona così perché gli italiani hanno molto meno tempo per la politica di quanto pensino politici e commentatori: lavorano, si ingegnano sul come galleggiare, stiracchiano redditi troppo corti per coprire tutto il mese e trascinano famiglie. La memoria breve fortifica la speranza: convincersi che tutto sia veramente nuovo aiuta a credere a un cambiamento reale.
Sarà per questa maledetta memoria breve che non ci si accorge dell’ipocrisia di Giorgia Meloni che i giornali compiacenti chiamano “maturità”. La leader che urlava in Spagna con i camerati di Vox promettendo sfaceli e additando poteri forti e criminali se ne sta in un angolo cinguettando con Draghi che fino a qualche giorno fa era un vampiro da trafiggere. Dopo avere incassato il 26% dei voti ripetendo che non andava bene niente, che tutti erano sbagliati e che il suo merito più grande fosse quello di essersi opposta (l’unica a destra) a questo obbrobrio oggi Giorgia Meloni muore dalla voglia di non interrompere il flusso del governo dei migliori.
Non è una questione meramente tecnica (il presidente della Repubblica deve iniziare ancora le consultazione, deve ancora affidare l’incarico per la formazione del governo): in un periodo di crisi spaventosa che si abbatte sui cittadini e sulle imprese Giorgia Meloni non trova la lingua per dire agli italiani quale sarebbe la soluzione che vorrebbe intraprendere, la destra non trova una posizione unica per tranquillizzare gli italiani sulle prossime bollette. Rimangono le cronache di “contatti tra Draghi e Meloni” sulle pagine dei giornali, utili a una riverniciata di credibilità internazionale e poco altro.
Giorgia Meloni che sì presa i voti dei “tutti a casa!” è tentata dal tenersi il ministro Franco all’Economia. Franco, tanto per capirsi, è il ministro del migliori che Mario Draghi ha sempre ritenuto il suo più fidato collaboratore. Franco, tanto per capirsi, era il papabile presidente del Consiglio se Mario Draghi fosse andato al Quirinale. «Se mi chiede cosa penso di Daniele Franco le dico che ho gli occhi a cuoricino» ha detto ieri Federico Freni, Sottosegretario al ministero dell’Economia (Lega), ospite a Restart su Rai2.
Intorno a nostra signora dell’Ipocrisia soffia forte il vento del paternalismo. La “prima donna” che avrebbe dovuto essere l’inizio di una rivoluzione ha scatenato lo spirito protettivo patriarcale di un’orda di maschi che con artefatto paternalismo consigliano Meloni, le sussurrano quanto è brava, la invitano a godere dell’ombra di Draghi e la applaudono come una bambina che muove i suoi primi passi.
Accade il contrario di ciò che urlacciando lei aveva promesso. “Diamole tempo”, diceva ieri un interessato Calenda. Già.
Buon martedì.
Dalla pagina Fb di Corradino Mineo.
Cari lettori, credo che il Caffè di ieri, 2 ottobre, in cui ho sostenuto l'urgenza di una scelta di campo, sia stato l'ultimo mio tentativo quotidiano di discutere i fatti del giorno, partendo dai giornali in edicola. Mi pare, ormai, una perdita di tempo cercare il dialogo con chi ostenta certezze granitiche. E vedo come i giornali di carta siano alimentati dai social, che a loro volta si attaccano come sanguisughe ai giornali. Ne deriva una bolla di false credenze, giudizi tagliati con l'accetta, becera propaganda. Continuerò a essere presente su Facebook, spesso se non tutti i giorni. Proponendo un'idea, offrendo una suggestione. Come provo a fare oggi scrivendo di Brasile e Persia. Capisco che a molti non possa interessare di meno, ma in verità credo che possa servire alzare lo sguardo dalle preoccupazioni per il caro bollette, dal tifo pro Nato o pro Putin, dalla ricerca di carpi espiatori o di nuovi idoli. Poi, chissà! È persino possibile che io finisca con lo scrivere il libro che ho in testa da tempo, sulle novità intervenute dall'inizio del millennio. Anche se ne dubito. Perché ho sempre lavorato con e per qualcuno. Da solo, mi sembra di affidare pensieri a una bottiglia nel mare.


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