Materiali per ragionare.
Adriano Sofri, dal suo profilo Fb.
Postfascisti, prefascisti...
Una storiella della mia infanzia: un tale entra in un bar e ordina un cappuccino. “Subito un cappuccino al signor pompiere!”, dice il barista. “Grazie. Ma come ha fatto a capire che sono un pompiere?” “Mah, un po’ tutto l’insieme, il tono, lo sguardo, e poi la tuta, l’elmetto, l’idrante...”. Ecco: come si fa a capire che Ignazio La Russa è fascista?
Ma La Russa non rappresenta affatto il pericolo di un ritorno del fascismo. Rappresenta a suo modo il fascismo che non se n’è mai andato, e che dopo aver provato a rimettere in auge la veste classica perpetuata nella Spagna franchista, nel Portogallo salazarista, o rianimata nella Grecia dei colonnelli, fino a tutti gli anni ’70, diciamo, si è poi variamente convertito. Nel caso di La Russa, nella caricatura. Che proprio per la sua spensierata frequentabilità confermava l’idea cara a una maggioranza di italiani di un fascismo da commedia, alieno dalla tragedia se non per nefaste influenze esterne. E’ quella caricatura che finalmente si è messa a capo del Senato della repubblica, dopo averla fatta transitare per una lustra sequela di cariche. E’ simpatico, guida la visita domestica agli altari di cimeli fascisti e nazisti ma ci scherza su: vedete, il fascismo è finito, dunque anche l’antifascismo.
Penso che non siano postfascisti, penso piuttosto che siano prefascisti – ho scritto. Sull’Europa in particolare, che è l’ambito essenziale di esercizio delle scelte politiche, incombe una traumatica rottura della abitudine alla democrazia. La guerra mossa dalla Russia all’Ucraina infedele ha questa posta. Alla presidenza della Camera dei deputati la vasta maggioranza di destra ha messo un uomo i cui pensieri sulla vita e la convivenza somigliano a quelli del patriarca Kirill. Quest’uomo – giovane, come Meloni, non ha fedeltà personali o famigliari cui obbedire – è oggi moderatamente favorevole all’indipendenza ucraina, perché non può farne a meno, e perché l’altro faro della sua condotta, la dirigenza nazionalista bigotta della Polonia, è strenua nemica dell’imperialismo russo e fautrice della resistenza armata ucraina. Complicazione che ha portato a rompere provvisoriamente l’alleanza fra Polonia di Mateusz Morawiecky e Ungheria di Viktor Orbán, senza peraltro incidere sulla comune convinzione di una degenerazione delle libertà occidentali, affine a quelle di Kirill e di Putin.
Intanto in Svezia si firmava l’accordo sul nuovo governo di destra, con il determinante appoggio esterno del partito “di ultradestra” (a quali acrobazie lessicali costringe oggi questa discarica di destre) di Jimmie Åkesson, che si chiama serenamente Democratici svedesi, e ha tolto già da 16 anni dal suo simbolo una torcia – la sua fiamma, il mondo è piccolo – e ha addolcito il suo profilo esplicitamente nazista e razzista, tenendo ben ferma la xenofobia. Un po’ più in là, la Bielorussia, un pezzo d’Europa in cui il dittatore, Aljaksandr Lukašėnka, è “presidente” da 28 anni: un record che emula quelli africani. E che si spiega con una repressione violenta su una gran parte, probabilmente una maggioranza, della popolazione. Lui ce l’ha fatta, ed è ora l’attendente di Putin: Janukovich in Ucraina non ce la fece, ed è ora l’attendente disoccupato di Putin.
E così via. La predilezione ostentata di Giorgia Meloni – e dei suoi colleghi polacchi, e di Orbán e Le Pen – per l’estrema destra neofranchista di Vox, mostra come l’europeismo, inteso come apertura, investimento in una legislazione internazionale, solidarietà, sia un campo minato. Meloni ebbe la sua devozione alla presunta efficacia dell’autocrazia putiniana, e del resto l’edulcorazione dell’immagine del fascismo coltivata metodicamente in Italia, a lungo contrapposta all’edulcorazione dell’immagine del comunismo sovietico perseguita a sinistra, è poi trapassata senza ostacoli nell’edulcorazione del regime putiniano. Putin stava, meraviglia delle meraviglie, al passato del totalitarismo staliniano come un simpatico La Russa: corpo a corpo con l’orso, a letto con Berlusconi, amico di Brigitte Bardot e dei cuccioli di foca. Non era il genocida di Cecenia infastidito dall’esistenza in vita di Anna Politkovskaya, era il nostro ospite a Villa Certosa e alla Maddalena, Apicella alla chitarra e la Moskva alla fonda. La minimizzazione, l’edulcorazione, l’anestetizzazione – in realtà, la falsificazione: ha una grande parte nella storia del comunismo reale, e l’Ucraina è un ultimo capitolo, enorme, di quella storia imperterrita. Di Hitler non si poteva ridere: di Mussolini sì, e anche di Stalin. Quanto a Putin, era il nostro compagno di barzellette.
L’occidente è rotto. Oggi Giorgia Meloni è la garante di una prosecuzione dello schieramento italiano con Europa Nato e Usa al fianco dell’Ucraina, che senza di lei andrebbe precipitosamente in frantumi: armi, sanzioni, contratti. Gli Usa sono, pro tempore, i democratici di Biden. Ma già l’Europa e l’Italia “profonde”, come si dice, sono trumpiane. Il loro occidente è quello che Donald Trump rivelò platealmente, facendo vacillare dalle fondamenta l’idea immaginaria di occidente. Che ora è solo un’opzione, fragile, effimera, vulnerabile. Un bilico che può precipitare di qua o di là.
In un simile paesaggio la destra italiana, vincitrice di elezioni che gli altri hanno perso mettendocela tutta, mostrerà la sua tempra. L’occasione fa l’uomo ladro. Quali che siano gli svolgimenti del terremotato paesaggio europeo e mondiale, non sarà il vecchio fascismo a sbattere i tacchi. Sarà la tentazione dell’efficienza di un governo insofferente di controlli e ritardi, della stretta sulla libertà delle persone di disporre di sé, cioè del proprio corpo, della volontà di umiliazione degli stranieri, della voluttà di essere “padroni a casa propria”, cioè di essere padroni, della voglia di darsi al più forte. Se questa sarà la scena prossima, le attrici e gli attori che l’Italia della nuova maggioranza di destra sta mettendo in campo sono promettenti. Non quali postfasciste, ma quali prefasciste. “Sono pronte”.
Per finire, ora. Le mie due frasette di ieri hanno ottenuto l’attenzione dell’organo quotidiano di Fratelli d’Italia, “Il secolo d’Italia”, che non ha badato a spese. “La sinistra terrorista fa la morale. Adriano Sofri, mandante del delitto Calabresi, teme i ‘prefascisti’…”. Il resto potete leggerlo, se volete: mi attribuisce di aver detto così per vendicarmi di La Russa che aveva richiamato alla memoria il commissario Calabresi – “l’ispettore Calabresi”, aveva detto. Naturalmente, non mi era nemmeno passato per la testa. Per giunta, io non sono e non sono mai stato terrorista. Non sono mai stato mandante di delitti. E siccome non sono stato accusato giudicato e condannato dalla destra postfascista, i miei nemici stanno indimenticabilmente in ogni punto della composizione politica e umana.
E’ molto stupido ignorare la mia parola, benché possa essere piacevole. Ogni volta che lo si fa, si commette un imperdonabile delitto. Oltre a non capire niente di quello che dico.
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Antonio Areddu condivide su Fb un intervento di Lidia Procesi.
Qui è necessario prendere molto sul serio Meloni, e Meloni in quanto donna, anche se lei, accecata dal fascino fascista, ragiona come se fosse nata nel 1919, sul maschilismo e le sue onnipresenti strategie. Gli epiteti usati da Berlusconi sono noti alle donne, io li ho sentiti infinite volte, sono parole d’ordine che tornano sempre uguali, cariche di sarcasmo, ogni volta che un uomo riceve un no ferreo da una donna e capisce che in quel no c’è l’indifferenza totale verso la sua vanità maschile. Un pensiero sconvolgente. E lei ha detto no su Ronzulli etc. No alla possibilità che Berlusconi si spacci per deus ex machina del suo successo. Infatti Meloni ha replicato gelida che avrebbe dovuto aggiungere “non ricattabile”, come a sottintendere che non considerava gli altri epiteti offese ma medaglie. Un altro argomento riconoscibile, nelle donne che se ne infischiano della vanità maschile, accusate perciò di essere testarde, cocciute, indisponenti, ottuse (ridicole). Altro che Renzi. Ci si scorda della Ronzulli? O della attuale fidanzata eletta in Forza Italia? Si pensa che per una Meloni, con quella storia, queste prassi di volgare maschilismo sulla sua lotta per il potere, non siano una ripetizione pubblica dello squallore provato da ragazzina per il padre? Mai sottovalutare l’inconscio, anche se le sue questioni suonano come meschine banalità. Per me gli ha spiattellato che lui con tutta Forza Italia può benissimo sfilarsi dalla coalizione, peggio per lui, anzi, alla fascista, me ne frego, e che per quanto la riguarda Berlusconi è già un cadavere vivente e lo è tanto più in quanto ha osato immaginare di essere stato il suo inventore, che lei non sia che una creatura dell’onnipotente patriarca e padrino tribale senza cui non sarebbe esistita. E questo è un ottimo argomento, anzi, è il più forte, che spinge un inconscio femminile a sfoderare il coltello e procedere alla castrazione. Castrazione, a costo di tornare alle urne. Cosi parla l’inconscio. Meglio perciò sedersi in panchina a osservare senza farsi contaminare. In quanto ai “ franchi tiratori” per La Russa, io cercherei tra i “democristiani eterni”, come brillantemente definiti da Cirino Pomicino, alla Gianni Letta, personaggi che latitano nell’ombra, onnipresenti e pervasivi dietro le quinte in tutto l’arco costituzionale e oltre.
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Adnkronos, 16 Ottobre 2022.
IL PUNTO DI VISTA DI FOLLINI
Governo, Follini: "Meloni dovrà dar prova di spirito ecumenico e battagliero"
"Giorgia Meloni si è fatta da sé medesima, e dunque non sarà il caso di darle consigli. Tuttavia avrà constatato in questi giorni che non tutto procede secondo copione, che le difficoltà sono maggiori del previsto e che la 'luna di miele' che solitamente accompagna il nuovo governo all’indomani di una vittoria elettorale a lei è stata -almeno un pochino- preclusa. Dunque, sarà forse il caso che sia lei a dare qualche consiglio a se stessa e magari cominciare ad aggiornare il suo copione. Infatti, a meno di un mese dalle elezioni vinte e a pochi giorni dal varo del suo governo la prossima premier si trova nella inedita condizione di essere una vincitrice sotto scacco. Condizione alla quale c’è da credere -e perfino da sperare- che stia cercando di sottrarsi.
Le difficoltà del dopo voto sono due. La prima è il rapporto con l’establishment, la seconda il rapporto con gli alleati. La prima era prevista, la seconda un po’ meno. La prima difficoltà ha bisogno di molta pazienza e molta umiltà per venirne a capo. La seconda, al contrario, ha bisogno di modi più sbrigativi e incisivi per non restarne schiacciata. Sul fronte delle istituzioni sarà doveroso un passo cauto e felpato. Ma sul fronte del centrodestra si rivela necessario qualche gesto d’imperio. Senza di cui la futura presidente(ssa) del consiglio finirebbe per trovarsi sotto tutela in men che non si dica.
La partita giocata e vinta nei giorni scorsi al Senato regala a Merloni un grande vantaggio tattico sul Cavaliere. La risposta al 'pizzino' berlusconiano consolida quel vantaggio. Resta da vedere se diventerà strategico, e se la premier reggerà il peso di questo conflitto a lungo andare. Infatti i governi di coalizione sono sempre roseti pieni di spine. E le ultime vicissitudini fanno capire che per la prossima premier non si annuncia di certo, per restare nella metafora, un cammino su di un letto di rose.
È evidente che Salvini e soprattutto Berlusconi stanno cercando di ottenere attraverso la pressione politica e negoziale tutto quello che l’elettorato ha sottratto loro. Essi infatti hanno 'quasi' perso le elezioni, riducendosi via via a numeri più marginali. E tuttavia si ostinano a ragionare come se la chiave della maggioranza fosse tutta nelle loro mani. Così, alcune richieste ministeriali finiscono per rappresentare il girone di ritorno del campionato interno del centrodestra. Laddove Meloni ha vinto la sfida dei numeri elettorali e Berlusconi e Salvini contano almeno di non perdere quella degli incarichi di governo e della quotidianità della legislatura.
Si vedrà fin dalle prossime ore come andrà a finire questa seconda contesa. Ma è evidente, già ora, che le fibrillazioni della maggioranza imporranno a Meloni di ridisegnare la mappa degli amici e dei nemici. Poiché non è detto che tutto il centrosinistra le muoverà una guerra campale, dovendosi riorganizzare e non avendo troppo interesse a che le cose precipitino prima del tempo. E altrettanto non è detto che tutto il centrodestra la sosterrà al modo della falange macedone, se anche la trattativa sui ministeri dovesse concludersi più armoniosamente di come è cominciata.
In politica succede spesso che il tuo alleato ti metta in difficoltà. E qualche volta che il tuo avversario ti sia d’aiuto. Tutto questo non ha a che vedere più di tanto né con il tradimento né con la generosità. E’ la contesa pubblica, per la sua natura, che mette in scena le più diverse e curiose rappresentazioni. E un buon regista di se stesso deve sapere quando è il caso di fare il viso dell’arme, e verso chi; e quando invece ci si può lasciare il passo l’un l’altro.
Ora sui nomi del governo, sulle nomine paragovernative che seguiranno e sulla densa e fitta quotidianità che ci attende di qui in avanti la prossima premier dovrà dare prova di uno spirito ecumenico e battagliero al tempo stesso. A patto, s’intende, di non far confusione dando battaglia agli avversari sbagliati e mostrandosi troppo indulgente con gli alleati maldisposti. E a patto, per giunta, di non sbagliare le misure. Che in politica spesso sono tutto".
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