Gilberto Guizzato
MI SONO FATTO QUESTA IDEA.
Che l'ultradestra religiosa israeliana, consapevole del fatto che Netanyahu era agli sgoccioli e che con tutta probabilità nuove elezioni avrebbero determinato nuovi rapporti di forza dentro la Knesset, con la nascita di un nuovo governo da cui sarebbe stata esclusa, abbia deciso di giocarsi il tutto per tutto sfruttando la comprensibile onda emotiva di massa che ha sconvolto il mondo ebraico il 7 ottobre con il massacro perpetrato dai miliziani integralisti islamici di Hamas.
Ricattando lo stesso Netanyahu, passibile di processi multipli per corruzione, lo hanno costretto a una furibonda guerra (che rischia di essere suicida per Israele e per tutto l'ebraismo) per dare attuazione, in extremis, prima della caduta del governo di estrema destra, al fanatico sogno neomessianico del "grande Israele" esteso fino ai confini del mitico regno di Davide e Salomone, che gli stessi storici e archeologi laici di Israele hanno dimostrato non essere mai esistito.
Una guerra dunque tesa all'annientamento non solo di Hamas ma della stessa presenza arabo/cristiana palestinese nella striscia di Gaza: non è mistero che il progetto della destra israeliana sia la pulizia etnica di questo territorio e l'occupazione ebraica stabile di Israele con espulsione dei non ebrei.
Che il "grande Israele" messianico sia il sogno della estrema destra religiosa ebraica è confermato dall'espansione progressiva e mai fermata da Netanyahu dei coloni Israeliani in Cisgiordania e nel Golan, dove impunemente spadroneggiano da almeno vent'anni.
Sì, questa è, nella sua vera sostanza, una guerra "religiosa", speculare a quella condotta dagli islamisti palestinesi, che vogliono cancellare Israele, spalleggiati in questo dall'Iran degli Ayatollah.
Una guerra che può essere solo contenuta dalle diplomazie internazionali, perché gli integralismi etnico-religiosi non si fermano davanti a nulla.
Del resto sappiamo bene che se anche in questi mesi Hamas sarà decapitata dalle bombe e dai tank di Israele, rinascerà con nuovi capi e nuovi miliziani reclutandoli fra le centinaia di giovani e bambini palestinesi che, a causa di questa immane carneficina oggi in corso, già stanno introiettando un odio implacabile per Israele che durerà per altre generazioni.
La storia eterna di Davide e Golia (nell'immagine di Caravaggio), questa volta a parti invertite.
Una guerra che dunque non avrà mai fine fino a quando, dentro e fuori Israele, non saranno l'opinione pubblica e i partiti laici a prevalere sui fanatismi religiosi di entrambe le parti che si odiano a morte. Ci vorranno, forse, decenni, o un intero secolo.
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Corradino Mineo
Netanyahu è alla frutta. Dice no all'Onu e alla tregua, ma annuncia che l'esercito non sparerà per 4 ore al giorno ai palestinesi che fuggono da Gaza verso sud. Ieri un blitz a Jenin, Cisgiordania, ha fatto altri 14 morti. La polizia arresta esponenti palestinesi, prima di tutto se manifestano per la pace. Ma una manifestazione di Israeliani e di parenti degli ostaggi ha accerchiato la casa di Netanyahu e ha provato ad entrare.
"Il tempo di Israele a Gaza sta per scadere", dicono generali e politici americani. New York Times riporta la notizia. E Brown, uno dei responsabili dello Stato maggiore, avverte che per ogni altra vittima civile si rischia di veder nascere un altro miliziano di Hamas. Mossad e CIA stanno trattando -con chi se non con Hamas?- per la liberazione degli ostaggi E preoccupa il ritorno dell'antisemitismo nel mondo. L'università di Harvard ha promesso di prendere delle misure. Anche contro l'islamofobia.
Ma tutto ciò è politica, contesto, notizia che serve per capire cosa potrebbe succedere. Resta il massacro degli abitanti di Gaza. Haaretz conta 10.800 vittime. Più quasi 200 ammazzati a Gerusalemme e dintorni. L'assedio, che è di per sé un crimine, riduce i sopravvissuti allo stremo. Ieri Piazza Pulita ha diffuso un bellissimo servizio da Gaza con ragazzi e bambini che fanno tutto sulla spiaggia, si lavano -non c'è acqua nei centri per i rifugiati-, fanno i bisogni, provano a mangiare qualcosa. Quando finirà?
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Raniero La Valle
Per un nuovo Israele
Per comprendere tutte le dinamiche che concorrono a determinare la tragedia in corso a Gaza, bisogna ricordare che lo Stato di Israele non è uno Stato come tutti gli altri, sicché i suoi atti e le loro motivazioni non sono paragonabili a quelli di qualsiasi altro Stato; di conseguenza i discorsi e i giudizi politici che li concernono sono spesso carenti, non informativi e privi di rapporto con la realtà effettuale.
La differenza consiste nel fatto che lo Stato di Israele è per origine e per scelta uno Stato etnico. Quanto all’origine, com’è noto essa sta nello scempio della Shoà e nello sgomento che ne è ricaduto sull’intero popolo ebreo e sulla stessa comunità internazionale che attraverso l’ONU ne ha stabilito la fondazione. Quanto alla scelta essa sta in una serie di atti successivi, il primo dei quali, come ha narrato uno dei protagonisti, Jacob Taubes, fu nel 1947 la decisione di non procedere alla stesura di una Costituzione, perché la legge fondamentale era da considerarsi la Legge biblica, e al di là delle norme laiche che lo Stato si sarebbe dato, gli istituti fondamentali come il matrimonio, il ripudio, la proprietà, dovevano essere forgiati dalla legge halachica, che è una derivazione normativa della Torah ebraica. Si può citare poi un tentativo del governo Netaniahu nel 2010 di inserire nella legge sulla cittadinanza una norma che obbligava ogni nuovo cittadino israeliano a prestare giuramento a Israele “Stato ebraico e democratico”; facendo così dell’ebraicità un carattere dello Stato tutelato da un giuramento; e si può ricordare come tutto ciò sia confluito il 19 luglio 2018. (primo ministro Netanyahu) in una legge di rango costituzionale, approvata di misura dalla Knesset con 62 voti favorevoli e 55 contrari, in cui lo Stato di Israele era definito come lo “Stato nazione del Popolo Ebraico”, e si sanciva che “La Terra di Israele è la patria storica del popolo ebraico, in cui lo Stato di Israele si è insediato”, che “Lo Stato di Israele è la patria nazionale del popolo ebraico, in cui esercita il suo diritto naturale, culturale, religioso e storico all’autodeterminazione” e che “Il diritto di esercitare l’autodeterminazione nazionale nello Stato di Israele è esclusivamente per il popolo ebraico”.
Questa immedesimazione di religione e Stato non è stata senza conseguenze militari e politiche: nel 2008, per una precedente operazione militare speciale contro Gaza, cosiddetta “Piombo fuso”, si dovette chiedere l’autorizzazione dei rabbini per cominciarla nel giorno di sabato, il 27 dicembre; e nel maggio 2010 per l’attacco degli incursori israeliani alla flottiglia pacifista (10 morti), che per portarvi aiuti umanitari voleva rompere il blocco di Gaza da cui Israele si era ritirato, la legittimazione per l’abbordaggio in acque internazionali fu che quella era comunque terra d’Israele.
Nel momento di una crisi suprema come quella attuale questa identificazione tra ebraismo e Stato produce tre tragedie per tutti e tre angosce per noi. La prima è quella del reciproco terrorismo di Gaza, che assimila la violenza della jihad islamica di Hamas a quella dello Tsahal israeliano e minaccia la definitiva espulsione dei palestinesi. La seconda è quella dello Stato di Israele che così spezza la società israeliana, fino alle piazze in rivolta e al “j’accuse” degli ostaggi e delle loro famiglie, perde la solidarietà di gran parte del mondo, irrita perfino gli Stati Uniti e si espone a una sfida mortale con i suoi nemici da cui potrebbe uscire dilaniato. La terza è quella dell’ebraismo, che si trova schiacciato sull’ermeneutica fondamentalista di una retribuzione incondizionata e violenta voluta dal Dio dell’Alleanza, che altera la Bibbia e rilancia l’antisemitismo perverso rimasto latente dopo il nazismo, come in Francia e perfino in Italia e in molti altri Paesi.
Si capisce allora perché, mentre è sacrosanto il diritto del popolo ebreo di difendersi e di essere difeso contro i demoni della distruzione, una gran parte delle guide religiose e dei sapienti d’Israele era contraria a una forzatura politica del messianismo e alla istituzione di uno Stato; si temeva una catastrofe e venivano invocati i “tre giuramenti” che secondo il Midrash e il Talmud Dio avrebbe fatto fare al popolo ebreo tra cui quello di “non salire sul muro” dell’esilio e di “non forzare la fine” (se ne trova la documentazione completa nell’opera di Aviezer Ravitzky, premio Israele per la ricerca filosofica, “La fine svelata e lo Stato degli Ebrei”). Obiezione spazzata via dalla Shoà.
Dunque non c’è un’alternativa per la convivenza e una speranza di pace in Medio Oriente? Sì, ci sono, e passano attraverso una trasformazione dello Stato in una vera democrazia del Medio Oriente e una conversione religiosa: nella stessa tradizione ebraica c’è una lettura del giudaismo realizzato che sarebbe una meraviglia per il mondo intero.
Un simile cambiamento si è già avuto del resto in molti altri Stati e religioni. A cominciare dal nostro “regime di cristianità”.