Ascolto un noioso disco
di Sally Oldfield, sorellina meno famosa di Mike; è un poema sinfonico
progressive di scuola inglese, nulla da segnalare.
Invecchio e divento sempre più iconoclasta verso la musica della mia giovinezza, non so se è affettazione o reale evoluzione del gusto.
Se non avessi fatto quello che ho fatto durante la giovinezza, non avessi ascoltato la musica che ho ascoltato, letto i libri che ho letto, ora cosa sarei? Mi piacerei di più?
Certo, ora sono nel gruppo degli sconfitti, quelli proprio irrecuperabili ma che fa? Non so se ne valeva la pena, non so se c’era una via alternativa da seguire. E allora? Allora nulla, quel che è fatto è fatto. Punto.
Invecchio e divento sempre più iconoclasta verso la musica della mia giovinezza, non so se è affettazione o reale evoluzione del gusto.
Se non avessi fatto quello che ho fatto durante la giovinezza, non avessi ascoltato la musica che ho ascoltato, letto i libri che ho letto, ora cosa sarei? Mi piacerei di più?
Certo, ora sono nel gruppo degli sconfitti, quelli proprio irrecuperabili ma che fa? Non so se ne valeva la pena, non so se c’era una via alternativa da seguire. E allora? Allora nulla, quel che è fatto è fatto. Punto.
...ora ascolto un disco, ancor più
antico, di Annette Peacock e Paul Bley – jazz sperimentale? -, un
sintetizzatore analogico espone il tema con suoni molto datati. Discogs, la
Bibbia dei collezionisti di vinile, definisce il disco “Electronic, Jazz, Free
Jazz, Space-age”, informa che alle percussioni compare Han Bennink e data la
registrazione, dal vivo, al 1970.
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