giovedì 9 luglio 2020

Mimose fuori stagione.

Credo che questa sia una bozza di un post mai pubblicato nel blog che curavo per Mentelocale, la ho trovata tra gli appunti abbandonati. La pubblico ora con minime modifiche.


Claudia vorrebbe impiantare una mimosa quattro stagioni, visto che negli ultimi anni abbiamo perso due alberi, ora abbiamo dello spazio libero. Credo che non ne farà niente, la mimosa mi piace molto, la sua esplosione di fiori gialli preannuncia la Primavera, ma è una questione di luminosità, mi piace il giardino luminoso e mi piace che la luce entri in casa dalle finestre, visto che ne abbiamo nove cerchiamo di sfruttarle. Non amo gli alberi sempreverdi; poi, con tutta onestà, non sono tanto sicuro di essere capace a curare un albero di mimosa. Preferisco piante che spogliano durante la stagione fredda, l'unico sempreverde che adoro è l'ulivo e, se potessi, ne coltiverei molti, certo così il giardino non sarebbe più un giardino, diventerebbe un uliveto e serve molto più terreno.

Tanti anni fa, mamma piantò una mimosa quattro stagioni nella nostra campagna – la terra che avevamo ereditato dagli zii emigranti di nonna Teresin -. I prozii di mamma erano tre contadini che partirono per il Sud America alla fine dell’Ottocento, la famiglia ha perso la memoria della loro destinazione precisa, a me piace pensare che fossero in Perù o in Venezuela ma è più probabile che abbiano seguito il flusso migratorio verso l'Argentina. Gli zii erano emigranti-rondine, cioè andavano, gestivano il loro spaccio ristorante e, di tanto in tanto, tornavano a casa per reinvestire i loro guadagni. I tre, che avevano acquistato per tutta la vita terreni e case, non si sposarono mai, perché "le mogli mangiano i risparmi dei mariti", ben presto affiliarono mia nonna e il fratello che erano rimasti orfani; nemmeno il fratello di nonna si sposò, di passaggio in passaggio, la proprietà arrivò a Teresin.

I nostri "manenti" pagavano pochissimo affitto per la casa e, soprattutto, cercavano di evitare di dividere i prodotti coltivati ma alla Teresin andava bene così, non era una padrona severa, credo che non si sentisse proprio una padrona. Era divertente la consueta scenetta tra nonna e Elena, la "manente" anziana: "buongiorno signora padrona… …non mi dica padrona, non sono la vostra padrona, sono solo la proprietaria della terra"; lo scambio di battute si svolgeva in stretta lingua genovese antica.

Quando mia mamma portò su in "villa" la mimosa la festa della donna non era ancora diventata una moda di massa, non era sfruttata a livello commerciale e quindi i mazzolini di fiori gialli non avevano un gran mercato, anzi, la mimosa, era considerata un fiore povero – proprio per questo motivo, nell'immediato dopoguerra, Teresa Mattei lo aveva proposto come fiore simbolo della festa -. Si capì subito, dall'espressione del viso, che Clotilde, la figlia giovane di Elena, non era contenta che una nuova pianta venisse a togliere spazio nelle fasce dedicate all'orto; un inutile albero da fiori, non un fruttifero! Meglio, molto meglio, un susino, magari una prugna della Madonna dai frutti piccoli e dolcissimi, che si vendono bene.

La mimosa di mamma ebbe una vita breve e stentata, non durò più di un anno. Una cosa ben strana, la nostra terra era in cima a una collinetta, ben illuminata e ventilata nel modo giusto, qualsiasi pianta prosperava; strano, veramente strano, che proprio la mimosa seccasse in quel modo. Abbiamo scoperto, dopo qualche anno, che Clotilde innaffiava la pianta con acqua e candeggina, un modo rapido e "indolore" per eliminare alberi indesiderati.

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